Riceviamo e pubblichiamo
Con i Decreti Minniti-Orlando assistiamo a una deriva preoccupante su temi che avrebbero bisogno di essere affrontati senza riproporre vecchi schemi che hanno dimostrato di essere inefficaci, ma soprattutto con un’attenzione particolare ai processi partecipativi. Ci sarebbe piaciuto confrontarci sul decreto flussi che riguarda migliaia di lavoratori e di lavoratrici oppure sulla legge sulla cittadinanza, invece siamo costretti a discutere sul “decoro urbano”. I temi dell’accoglienza non possono essere trattati con slancio populistico.
In particolare:
Poteri straordinari ai sindaci per agire e reprimere: “confino urbano” alle marginalità sociali con la pretesa di ricondurre la materia del ‘decoro urbano’ al tema della sicurezza, si rischia di creare maggiore insicurezza criminalizzando la marginalità sociale senza preoccuparsi di intervenire per combattere la povertà e la marginalità di un numero crescente di cittadini”;
Eliminare un grado di giudizio equivale a comprimere il diritto d’asilo creando di fatto un diritto differenziale. Con il provvedimento governativo, non solo viene violato il diritto di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione, ma si preclude al giudice la valutazione in concreto della persona del ricorrente e del suo eventuale percorso di inclusione sociale ai fini della valutazione sul rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;
Operatori sociali “costretti” a controllori, con le operazioni di notificazione attribuendo il ruolo e la funzione di “pubblico ufficiale: significa ledere la relazione fiduciaria fondante il nostro agire sociale; “Disposizioni urgenti per assicurare l’effettività delle espulsioni e il potenziamento dei centri di permanenza per i rimpatri” ovvero all’istituzione e all’ampliamento della rete dei Centri di Permanenza per i Rimpatri (già Centri di Identificazione e Espulsione) tramite la distribuzione delle strutture sul territorio nazionale, così come a ogni tipo di azione o di provvedimento che determini l’incremento di provvedimenti amministrativi di espulsione caratterizzati da automatismo e da assenza di adeguata valutazione delle 2 situazioni individuali a partire dalla presa d’atto degli esiti fallimentari della pregressa esperienza dei Centri di Identificazione e Espulsione, in termini di condizioni umane degradanti, costi elevati, numero limitato di stranieri rimpatriati, etc..”.
I Centri Permanenti per il Rimpatrio, nuova denominazione per gli attuali CIE, in cui è prevista un’unica procedura per le espulsioni, passeranno da 6 a 20. La capienza attuale, che sta tra le 600 e le 700 persone, arriverà a 2000 reclusi. Per il resto non cambierà niente. Il tetto resterà di 90 giorni prorogabili. I termini saranno allungati per coloro che hanno già scontato un periodo in carcere. Nessun cambiamento neppure per quanto riguarda gli hot-spot, che continuano a sottrarsi a ogni regola. Tutto improntato su una logica puramente repressiva già dimostratasi del tutto fallimentare. Riteniamo doveroso esprime tutto il nostro dissenso, auspicando che non si intervenga più riproponendo il binomio immigrazione-sicurezza e alimentando, nei fatti, il razzismo e la paura e sperando che il Governo ascolti le istanze di chi, come noi, lavora quotidianamente affianco ai migranti conoscendone pienamente le problematiche e i bisogni.