Si sono svolti all’alba, in forma strettamente privata e direttamente al cimitero di San Luca i funerali del boss aspromontano Antonio Nirta, deceduto per cause naturali all’età di 96 anni nella sua casa situata a Benestare nella contrada Ricciolio. Ad ordinare il funerale in forma “blindata” (numerosi gli agenti della Polizia di Stato e dei carabinieri presenti) è stato il questore di Reggio Calabria Raffaele Grassi. Con i fratelli Giuseppe – assassinato a Bianco 20 anni fa in un agguato di stampo mafioso e considerato il “capo dei capi” del crimine organizzato calabrese – Francesco, Sebastiano e Domenico, Antonio Nirta era ai vertici di una delle più potenti e ramificate cosche della ‘ndrangheta, “La Maggiore”. Soprannominato “il diplomatico” grazie al ruolo da paciere ricoperto più volte in diversi momenti della cruenta guerra di mafia che infiammò Reggio Calabria, faida che neanche Totò Riina riuscì a fermare, Nirta riuscì anche a far sentire il suo peso, nei primi anni della mattanza, anche nella cruenta e sanguinosa faida di San Luca, culminata, ad agosto del 2007, con la strage di Duisburg, in Germania. Antonio Nirta, detto anche “due nasi”, ha rivestito un ruolo di peso nella ‘ndrangheta calabrese. Per la prima volta venne processato nel 1935 per detenzione di armi e incassa la prima condanna, per associazione a delinquere nel 1970, a due anni e sette mesi. Il 29 ottobre del 1969 prese parte alla riunione di ‘ndrangheta che si tenne a Moltalto, anziché a Polsi. Nel 2004, su disposizione del Tribunale di Reggio Calabria, gli vennero sequestrati preventivamente numerosi beni, il cui valore si aggirava intorno ai sei miliardi. Un patrimonio che superava di gran lunga il suo reddito, per l’opinione pubblica svolgeva infatti l’attività di caposquadra della forestale in pensione Una lunga storia giudiziaria quella di Antonio Nirta, spesso al centro di dichiarazioni di pentiti storici, tra cui Filippo Barreca, Giacomo Lauro e Saverio Morabito. Fu proprio Morabito a parlare di un coinvolgimento di Nirta nelle Brigate Rosse e nel sequestro di Aldo Moro, dichiarazioni che non furono mai supportate da riscontri. Un racconto che, però, non troverà riscontri investigativi. Tra i principali imputati nel processo per il sequestro di Paul Getty junior, il nipote del magnate inglese Paul Getty, rapito a Roma nel 1973 e liberato dopo 158 giorni di prigionia dietro il pagamento di un riscatto di un miliardo e 700 milioni. Nirta, però, venne assolto per insufficienza di prove.

Funerali all’alba per il boss Nirta

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