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Cronaca

Crotone, è iniziato il Ministero Episcopale di Monsignor Panzetta: “Intendo essere un vescovo vicino a Dio, vicino alla gente e ai miei presbiteri”

redazione

Crotone, 6 Gennaio 2020 • 4:35

Si è insediato nel pomeriggio di domenica 5 gennaio Monsignor Angelo Raffaele Panzetta, Arcivescovo di Crotone Santa Severina.
Tre le tappe che hanno caratterizzato il suo ingresso nella Diocesi, dapprima Torretta di Crucoli, poi la Basilica Cattedrale di Crotone dove è stato accolto dal presidente del capitolo Cattedrale e dal saluto delle istituzioni locali. Dopo aver pregato davanti al cuore di Gesù e aver rivolto alla Madonna di Capo Colonna una preghiera scritta di suo pugno, Monsignor Panzetta si è recato al PalaMilone dove, all’avvio della celebrazione eucaristica ha raccolto il testimone da Monsignor Domenico Graziani. “In questo momento davvero speciale, – ha sostenuto Monsignor Panzetta – voglio rendervi partecipi delle disposizioni interiori, con le quali inizio il mio servizio episcopale. Io, entro in questa Chiesa particolare, in punta di piedi. Mi sento erede di una foltissima scia di pastori, di presbiteri, di religiosi e di laici che nei secoli passati hanno scritto pagine di vita impregnate di Vangelo e che hanno provato ad essere fedeli a Dio nella storia degli uomini. Il mio primo sentimento pastorale, entrando in Diocesi, è quello della gratitudine, per la storia che mi ha preceduto e anche di rispetto di una gloriosa tradizione ecclesiale nella quale mi inserisco con il cuore libero e spalancato. Assumo la responsabilità di guidare questa comunità con una autorità ferma ma umile. Per questo inizio il servizio nella consapevolezza di dover certamente insegnare, ma solo dopo aver imparato di dover parlare ma solo dopo aver ascoltato; di dover organizzare, ma solo dopo aver guardato in viso le persone, nella loro singolare unicità. Sono convinto infatti che i programmi le strutture, perché queste restino polarizzate al loro fine ultimo, che è quello di facilitare l’incontro e la comunione con Dio e con i fratelli, questa finalità si raggiunge solo con un rispetto profondo per ogni essere dal volto umano. Sono arrivato oggi qui senza portare con me delle ricette preconfezionate, o con l’intenzione di trapiantare in questa terra lo stile pastorale di altre chiese o attinto in altri contesti. Sono fermamente convinto che qui, nella nostra terra, dobbiamo, con percorsi sinodali, sognare e realizzare i progetti e i programmi più adatti a disegnare percorsi di salvezza per il nostro popolo. Quanto allo stile episcopale che proverò a incarnare, non ho altre prospettive se non quelle indicate dal Concilio Vaticano Secondo, così come esse oggi sono attualizzate ed incarnate nell’insegnamento e nella testimonianza di Papa Francesco. Mi riferisco alla globalità del suo magistero ma soprattutto alle Evangeli Gaudium, nella quale ritengo sia descritto uno stile di chiesa e quindi anche uno stile episcopale che risultano adeguati ai tempi che abbiamo di fronte, nella responsabilità di vivere. Sono convinto che nella Parola di Dio, nella tradizione del Magistero della Chiesa sia reperibile una traccia oggettiva per il ministero episcopale che intendo incarnare con tutta la fedeltà di cui sono capace. Essa, è stata in più occasioni sintetizzata dallo stesso Papa Francesco intorno ad alcune esigenze fondamentali che nella loro concretezza forniscono quasi una mappa, che io intendo seguire con fiducia, riutilizzando la sostanza delle sue parole. Il suo pensiero può essere descritto con questa formula sintetica oggi popolo di Dio e la storia richiedono che i vescovi siano uomini vicini a Dio e che con disponibilità reale siano contestualmente capaci di essere vicini anche alla gente soprattutto agli ultimi e con amore di padre stiano accanto ai loro presbiteri. Nella luce di queste indicazioni – ha proseguito Monsignor Panzetta – ho scritto sul navigatore della mia vita il percorso che ho scelto e che intendo seguire con le capacità e con i limiti che ho. Oggi avverto la necessità di condividere con voi tale missione, per questo vi dico che intendo essere un vescovo vicino a Dio. Nella mia esperienza di prete ho già sperimentato in modo inequivocabile quanto la vicinanza a Dio sia la vera sorgente del ministero. Il nuovo servizio episcopale che mi è stato affidato è profondamente segnato dall’esigenza di essere un segno, quasi palpabile della vicinanza di Dio che in Gesù si è fatto compagno di strada degli uomini. Ma come si potrebbe essere un segno di tale prossimità senza farne quotidianamente esperienza. Sono dunque consapevole che il mio primo impegno episcopale sia la preghiera, per portare a Gesù le persone, le situazioni, diventando quasi un canale aperto che pone in contatto il Signore e la nostra gente. Intendo essere anche un vescovo vicino alla gente. La prossimità con Dio infatti, quando è autentica educa il pastore a riscoprire il senso della loro vera identità che consiste nel farsi prossimo perdonarsi come pane spezzato alla gente. Io voglio camminare in questa direzione, voglio farlo con decisione, non tanto per una motivazione pastorale o strategica, ma per una esigenza sacramentale e identitaria, perché siamo strumenti vivi attraverso ai quali Gesù si fa vicino a tutti per portare la speranza e la consolazione. Io voglio essere un vescovo realmente e lealmente disponibile so bene che la vicinanza ala gente quando è autentica si traduce in gesti feriali e concreti per questo mi sento profondamente chiamato a stare in contatto con le persone, dedicando loro il tempo con generosità. Mi sento chiamato a non nascondere i problemi sotto il tappeto, a non temere di venire in contatto con una realtà nella quale occorre fasciare ferite, farsi carico, prendersi cura e spendersi veramente senza barare. Intendo essere un vescovo con uno sguardo di predilezione per gli ultimi e per ogni povertà. La vicinanza verso tutti a una verifica peculiare nell’attenzione ai poveri che devono essere accolti amati con uno stile di vita sobrio e semplice, quello tipico di chi ha trovato nel Signore la ricchezza vera della sua vita. Sono convinto infatti che lo sguardo di predilezione per gli ultimi, che sono affidati in modo particolare alla mia paternità costituisca un annuncio efficace del Regno di Dio. Intendo essere vicino ai miei sacerdoti. Questo penso che sia una vicinanza orizzontale decisiva, forse quella oggi più urgente non si tratta di un esigenza manageriale o funzionale, come quella che chiedi a un leader di mantenere buoni rapporti con i suoi più stretti collaboratori, ma di una necessità sacramentale che mi chiede di essere padre dei miei presbiteri, so bene quanto essi abbiano bisogno di un pastore che li ami, li segua li incoraggi perché siano amorevolmente stimolati a una vita di donazioni. In questi anni di servizio, svolto per tantissimi presbiteri, ho imparato che la relazione tra il vescovo e i suoi preti ha delle ricadute immediate sulla qualità della vita delle chiese particolari, per questo intendo curare, in modo peculiare, il rapporto con i miei sacerdoti. Voglio essere quasi il loro parroco e investire soprattutto una fetta decisiva del mio tempo e delle mie energie, a disposizione di tutti i presbiteri, soprattutto nei più giovani e in chi è in difficoltà e nella prova. Intendo far mio questo stile ministeriale e investire in questo progetto tutta la mia vita, le mie forze e anche la mia consistente caparbietà. Sono certo, che la grazia del Signore Risorto mi aiuterà a camminare in questa esigente direzione, ma sono altrettanto convinto che la chiesa che mi ha affidato dovrà aiutarmi a incarnare questo modello. Penso infatti che un vescovo possa contribuire con la grazia di Dio a dare una forma peculiare caratteristica alla chiesa particolare che gli è chiamato a guidare ma sono altrettanto certo del fatto che una chiesa diocesana in qualche modo possa dare una forma al suo vescovo, proprio come fa una sposa con il suo sposo. A motivo di questa consapevolezza non ho paura di chiedergli con parresia: aiutatemi a essere un vescovo secondo il cuore di Cristo e della chiesa. Per questo, innestiamo subito tra noi relazioni segnate dalla carità nella verità, avendo cura fin dall’inizio di rimanere lontani dallo stile relazionale opacizzato dall’adulazione e dalla finzione che rovinano le comunità, perché isolano l’autorità, in un mondo parallelo nel quale diventa impossibile rendersi conto delle reali esigenze delle persone e delle comunità. Costruiamo invece rapporti leali rispettosi e franchi, in quel clima di docibilità della condizione per ogni percorso formativo. Io sono certo che darete ascolto a queste richieste perché considero questo stile relazionale il regalo più prezioso che possiate fare al mio ministero. Oggi presiedo qui, per la prima volta l’Eucaristia con il cuore gonfio di tutte queste attese e di speranze o sia quella passione per il possibile che nasce dal mistero Pasquale di Cristo Sono convinto che nella grazia del mistero eucaristico troveremo ogni giorno la forza per poter realizzare le mete che lo Spirito assegnerà alla nostra chiesa. Intanto il tempo liturgico nel quale è avvenuta la mia consacrazione è l’inizio del mio ministero, ossia quello del Natale è caratterizzato da una grande convergenza attorno al tema dell’Epifania nella Chiesa che è avvenuta nell’incarnazione del verbo della vita. Io penso che questo tempo ci dia da pensare e da riflettere. Io ritengo infatti che questo mistero, proposto ad una chiesa particolare che si trova a vivere un passaggio decisivo della sua storia, abbia un significato del tutto particolare e indica alla nostra comunità uno stile, una prospettiva kenotica, che deve segnare profondamente la comprensione della nostra identità e della nostra missione nel mondo. Penso – ha detto ancora Monsignor Panzetta – che il tempo liturgico che stiamo vivendo ci permette di ricordare il legame profondo che esiste tra il mistero del Verbo incarnato e l’identità stessa della nostra chiesa, perché essa o è la comunità della kenosi in Cristo o non è quella realtà che Dio ha voluto. Su questo tema mi piace richiamare alcune parole di Monsignor Romero, vescovo morto martire, il quale in una sua omelia del 1978 ha affermato:”Sentire con la Chiesa il prendere parte alla memoria della chiesa portando nel proprio intimo tutta la kenosis di Cristo, nella chiesa di Cristo vive tra noi e per ciò essa deve essere umile e povera, perché una chiesa arrogante, una chiesa piena di orgoglio, una chiesa autosufficiente non è la chiesa della kenosis di Cristo. Guardando alla comunità cristiana dell’annuncio della kenosis di Cristo possiamo ricordare che Dio interviene santificamente nella storia, nella vita degli uomini, e che la vicenda umana e il contesto reale in cui egli ci parla e ci raggiunge. Una chiesa kenotica non può avere paura di sporcarsi le mani con la storia reale delle persone, delle comunità, perché la kenosis di Cristo ci chiede in modo perentorio di ascoltare, di prenderci cura delle persone reali che hanno bisogno di relazioni autentiche e di legami veri. A tal proposito, Papa Francesco, parlando nel gennaio scorso ai vescovi del centro-america ha detto delle parole che valgono per tutta la chiesa e le sue parole sono queste: “È importante che non abbiamo paura di accostare e toccare le ferite della nostra gente, che sono anche le nostre ferite e questo nello stile del Signore. Il pastore non può stare lontano dalla sofferenza del suo popolo, anzi potremmo dire che il cuore del pastore si misura dalla capacità di commuoversi di fronte alle tante ferite della vita delle persone”. Farlo nello stile del Signore – ha concluso Monsignor Panzetta – significa lasciare che questa sofferenza colpisca e contrassegni le nostre priorità e i nostri gusti. L’uso del tempo e del denaro e anche il nostro modo di pregare, alla luce di queste riflessioni, soprattutto nell’ascolto della Parola di Dio che ci ha consegnato in questa eucaristia dell’epifania, nella quale si manifesta anche il mistero della chiesa e della sua dimensione missionaria, cominciamo il nostro itinerario nel quale vogliamo essere una comunità epifanica che sulle orme del verbo si china kenoticamente nella storia degli uomini e delle donne del nostro tempo, per portare la luce salvifica di Dio. Si tratta di una missione importante e esigente, per questo ci aiuti l’amata Vergine di Capo Colonna, ci sostengano Sant’Anastasia e anche San Dionigi, perché riusciamo a percorrere speditamente i sentieri dove l’ascolto della parola di Dio ci guiderà ogni giorno, per questo con coraggio di tutti… Buon Cammino”

Ministero EpiscopaleMonsignor Angelo Raffaele PanzettaPALAMILONEpresbiteriVescovo

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