E’ sempre difficile descrivere determinate emozioni. Soprattutto quando non hai realizzato in pieno tutto quello che hai vissuto, quando braccia e mani sono ancora indolenzite per averle alzate ininterrottamente durante tutti i 120 minuti di gioco e la voce è ormai pressoché inesistente perché hai cantato per altrettanto tempo. Ti svegli il giorno seguente, pensando di aver sognato, ma poi apri i giornali, i social network, e l’informazione spazza via ogni minimo dubbio. No ragazzo, non stavi sognando, tutto questo è successo davvero.Ieri sera a San Siro ha vinto il Crotone. Anche se il risultato sostiene il contrario. Ha vinto il Crotone perché ha messo paura ad uno dei club più titolati al mondo, fino all’ultimo minuto. In casa sua. Costringendolo a giocarsi una qualificazione, che tutti davano per scontata, solamente durante i tempi supplementari. Uno scontro alla pari insomma.Ieri ha vinto il Crotone ma soprattutto i crotonesi. Sono entrati anche loro negli almanacchi.Per come hanno vissuto la sfida e per lo spettacolo che hanno offerto all’interno di un San Siro abituato sicuramente a competizioni di ben altro livello. Ad ogni coro le colonne portanti della struttura tremavano letteralmente, facendo sorgere una domanda spontanea agli habitué delle poltrone rossonere: “Ma chi sono questi? Da dove vengono?”. Sono i tifosi del Crotone. La Magna Graecia.Ognuno dei presenti ha vissuto quest’evento in maniera differente, ma innumerevoli sono i punti in comune e le emozioni per chi come me ha assistito al miracolo del 1° dicembre 2015. Una data che in pochi dimenticheranno.La notte prima non hai dormito. Sei stato rinchiuso in un perenne stato d’ansia come tutte le volte in cui sei consapevole che sta per accadere qualcosa di magico. Al mattino ognuno la vive in modo diverso. C’è chi l’alba la guarda dai finestrini di un pullman grazie al quale ha macinato kilometri e ore interminabili pur di esserci. Chi a Milano magari ci vive, chi risiede al nord per svariati motivi ed in qualche modo vuole assistere a qualcosa di memorabile.Sistemi i vestiti con cura sul letto, raccogli il necessario minuziosamente, cerchi di non dimenticare nulla, perché sai quanto è importante ciò che ti aspetta e non vuoi assolutamente che qualcosa vada storto. Afferri la sciarpa, eterna compagna di viaggio, quella che con te ne ha vissute tante. Quella invernale che per scaramanzia indossi anche a maggio.E’ mezzogiorno. Piazza Duomo viene letteralmente sommersa dai tifosi rossoblu, tanto da farti venire il dubbio che tu non sia nella città meneghina bensì sul lungomare pitagorico, poi noti che non c’è il sole che si riflette sullo Ionio e alle tue spalle un’imponente opera architettonica capeggiata dalla famosa Madonnina sovrasta il luogo in cui stai cantando e sorridendo, così realizzi, sei arrivato finalmente. Quel giorno lo stai vivendo.L’atmosfera è fantastica, accompagnata da un’aurea surreale. Ci sono tante famiglie. Tanti bambini. Tanta gente che costretta dalla mancanza di lavoro nella propria terra vive fuori sede da una vita, chi è lo stesso di un tempo, chi ha formato una famiglia. Tutti però hanno un obiettivo comune, ognuno dei presenti non vede l’ora di vantare all’interno di uno stadio le proprie origini.In ogni mezzo di trasporto del capoluogo lombardo spicca qualcuno con la sciarpa rossoblu. Nei vagoni delle metro si alzano i cori accompagnati dallo sguardo dei cittadini incuriositi da questa inaspettata invasione.Intorno alle 18, ben tre ore prima dal calcio d’inizio siamo già nei pressi dello stadio. Per chi come me non era mai stato a San Siro l’emozione è indescrivibile, soprattutto quando la struttura inizia a fare capolino dai finestrini del pullman su cui viaggio. Io ero abituato come tutti a vederle in tv certe cose, mai avrei pensato che un giorno, in quel luogo mi sarei trovato a sostenere la squadra della mia terra, in uno degli stadi più importanti della nazione, non ero mai stato sfiorato nemmeno dal pensiero di tutto ciò seppur sia un eterno sognatore.Scesi dal pullman raggiungiamo l’area del gate predisposto all’entrata nel settore. E’ lì che incontri i primi amici, gente che senti ogni giorno o persone che non vedevi da un botto. Chi ha passato dodici ore di viaggio pur di essere presente. Chi vive all’estero e vedi purtroppo solo durante le feste. Gli abbracci sono inevitabili e gli occhi quando si incrociano hanno per tutti la stessa espressione, che in una rude trasposizione dialettica potremmo definire come: “Guagliò ma daver sim ‘cca ?!”.L’emozione è palpabile. Ti rendi conto di quanti abbiano nel cuore il Crotone Calcio. Una passione senza limiti ne confini.Gli ultras sistemano gli ultimi dettagli, distribuiscono le poche sciarpe commemorative rimaste a chi ne era sprovvisto. Partono i cori e nessuno riesce a sottrarsi. Ti partono da dentro. E’ il cuore a voler cantare. Stai vivendo qualcosa di unico.Tra chiacchiere, cori, birre e rulli di tamburo si fanno le 20. Manca ancora un’ora ma fuori dai tornelli c’è talmente tanta fila che ti sembra di essere a un concerto dei Beatles negli anni ’60.Dopo una decina di minuti di attesa e le immancabili perquisizioni di sicurezza finalmente entriamo nel primo anello verde. Il nostro settore. Il rettangolo di gioco splende quasi fosse un’opera d’arte del Modigliani. Tutto sembra luccicare ininterrottamente. Il cuore batte a mille. Gli occhi si gonfiano ma non è ancora il momento e trattieni le lacrime.Ore 21. Le squadre entrano in campo. Il momento della coreografia sicuramente l’avrete visto tutti. Non credo ci sia bisogno di particolari descrizioni a riguardo. Posso solo dirvi che le voci crotonesi sovrastavano l’abituale inno del Milan trasmesso ogni qualvolta i diavoli entrano sul terreno di gioco del Meazza. Quasi seimila bandierine sventolano senza sosta contornando un’enorme banda raffigurante il logo della società di via Scalfaro. Il tripode, gli squali, i nostri valori.Siamo tutti uniti per una volta. Siamo un’unica identità.Non potevo chiedere di meglio. Migliaia di anime, un solo cuore.Ogni azione del Crotone è un boato continuo. Gli squali si battono con umiltà e tenacia. Senza paura. A testa alta. Proprio come ognuno di noi desiderava. Il Milan non ci crede e fa fatica. Forse pensava fosse una semplice sgambata, come di solito accade quando si affrontano due squadre provenienti da categorie differenti con una caratura di certo non alla pari, ma così non è.La prima frazione di gioco termina a reti inviolate. Per noi è già una conquista.Durante l’intervallo ognuno chiama i propri cari giù in Calabria, sono entusiasti, anche i non appassionati, dicono che siamo meravigliosi, il colpo d’occhio è fantastico e i telecronisti spendono solo elogi per noi. Tifosi di cenerentola. Ennesimo traguardo raggiunto.Inizia il secondo tempo. Mihailovic deve essersi fatto sentire perché i rossoneri entrano in campo con uno spirito diverso, non a caso, dopo un paio di minuti il Milan va in vantaggio grazie a Luiz Adriano. L’attaccante brasiliano fa fuori la difesa pitagorica, aggira Cordaz e deposita la palla in rete. Ma a noi non interessa. Non siamo lì per il risultato. Siamo lì per onorare una maglia e farci sentire. Per vivere un sogno. Ed è proprio ciò che accade a distanza di pochi secondi. Il settore non si perde d’animo e continua a incitare con tutta la voce che ha in corpo. Segno distintivo di una grande tifoseria che vuole tornare a splendere come faceva qualche anno fa, prima che le leggi e la crisi rendessero tutto molto più complicato.Dopo una lunga fase di stanca, accade l’impossibile, qualcosa che riesci a narrare a stento, che rimarrà per sempre nei ricordi delle migliaia di pitagorici presenti ieri sugli spalti della Scala del Calcio.E’ il 23’ minuto del secondo tempo, guizzo di Budimir che con un tunnel fa fuori il malcapitato Zapata, il croato entra in area, prende la mira e di sinistro batte Abbiati.Il Crotone ha pareggiato.In quel momento non sono riuscito a trattenerle le lacrime. Sono sincero. Sfogo di un melting pot composto da ansia, adrenalina e felicità che io e le altre migliaia di valorosi supporter avevamo dentro da troppo tempo. Il settore esplode. Si sogna l’impresa. Perchè sarebbe il risultato più giusto.Quando il lanciacori grida: “Chi siamo noi?”. E di tutta risposta il pubblico urla: “Squali!”, l’eco arriva nelle televisioni di tutta Italia. Roba da mettere i brividi anche ai più insensibili.Si va ai supplementari. Che partita ragazzi. I nostri sguardi sono increduli. Negli occhi c’è tanta speranza.Più di qualcuno, me compreso, inizia a crederci, anche se in fondo siamo consapevoli che la nostra vittoria l’abbiamo già portata a casa. In campo ma soprattutto sugli spalti.Dopo due minuti dall’avvio dell’extra time il Milan torna in vantaggio grazie ad una punizione di Jack Bonaventura e lo incrementa in seguito grazie a Niang. Il sogno si affievolisce, ma non l’entusiasmo, quello rimane acceso fino alla fine. Sentir cantare “Il cielo è sempre più blu” a migliaia di kilometri da casa è qualcosa che certamente anche al compianto Rino Gaetano avrebbe strappato un sorriso.Per me e per molti un sogno che si realizza.L’arbitro fischia la fine. Sono solo applausi. Applausi per un Crotone mai domo. Applausi per 11 leoni nel vero senso della parola. Applausi per la società di Vrenna che ha dimostrato ancora una volta quanto meriti palcoscenici di prestigio. Applausi per noi, gladiatori per una notte.A fine partita mi giro e noto un bambino che era in lacrime perché avevamo perso, nella sua innocenza ci credeva più di ogni cosa. Anche e soprattutto queste sono le emozioni che il calcio è in grado di darti. Mi avvicino e accarezzandogli il capo cerco di consolarlo: “Tranquillo piccolo, abbiamo vinto noi. Qui a San Siro ci ritorniamo!”. Crescendo capirà che il risultato a volte conta molto poco, capirà quanto è stato fortunato ad assistere a tutto ciò, capirà quanto orgoglio si prova nel portare i propri colori in giro per l’Italia.Nel pullman del ritorno i commenti sono inevitabili, tutti positivi, soprattutto per quanto riguarda la tifoseria, elogiata in tutto lo stivale.Si torna a casa, ancora increduli, tra la nebbia e il freddo, ma a testa alta.E’ stato come ci aspettavamo. Forse anche meglio.Ora però bisogna chiudere questa meravigliosa giornata nel cassetto dei ricordi, la testa va al campionato. L’obiettivo è battere il Cesena, per continuare a sognare. Sognare quella meta impronunciabile causa scaramanzia e tornare a San Siro, l’anno prossimo, questa volta per prenderci i tre punti. Perché nella vita tutto è possibile e ieri ne abbiamo avuto la prova. Orazio Polimeni

Caro Squalo a San Siro hai vinto tu. Milan-Crotone, cronache di una trasferta
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